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TANGOS, L'ESILIO DI GARDEL
(TANGOS - EL EXILIO DE GARDEL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 dicembre 1986
 
di Fernando Solanas con Marie Laforet, Philippe Léotard, Georges Wilson, Marina Vlady (Francia - Argentina, 1985)
 
Esiliati argentini a Parigi tentano di creare uno spettacolo che, sul filo del tango, coniughi canti e danze attorno al tema della nostalgia e del paese lontano. Lo spettacolo, come avremo intuito dopo pochi minuti, non finirà mai su un palcoscenico: la difficoltà di terminare, di produrre, di far ammettere questa "tanguedia" (tango + tragedia + commedia) è la stessa difficoltà che incontra l'esiliato a sradicarsi dalle realtà della patria nella quale è cresciuto; e d'inserirsi in un paese che forse lo comprende, ma certamente gli sarà sempre estraneo.

Un film di Solanas (cinquantenne, considerato dai tempi di La hora de los hornos del 1968 come l'emblema di un cinema argentino partecipe di una tradizione lirica e di una testimonianza del dramma socio-politico contemporaneo) viene esaltato, e in parte anche condizionato proprio da questa "tanguedia". Da un lato, infatti, un film come TANGOS si accoglie con grande riconoscenza in un momento cinematografico dominato dal conformismo dei temi e, ancor più, dei modi d'espressione. Solanas mescola, appunto, il dramma argentino e quello ancor più universale di ogni esiliato con una delle forme cinematografiche più libere (ed oltre tutto in disuso), la commedia musicale. Una forma che permette ogni libertà, ogni divagazione fra fantasia e realtà: alle quali l'autore argentino aggiunge persino toni burleschi (la cabina telefonica, cordone ombelicale tra gli esiliati e la patria lontana che va a fuoco; uno dei personaggi che si sgonfia, non solo spiritualmente, proprio come nei disegni animati), caricaturali e fantastici (tutto il modo, assai originale, d'interpretare fotograficamente lo sfondo parigino). Questa libertà, questa felicità d'invenzione, questa frammentarietà in molti capitoletti che Solanas interseca con grande bravura spiegano il fascino del film: che non è mai pedante o predicatorio, piagnucoloso o trionfalistico: perché il regista tende continuamente a sdrammatizzarlo con piccole (ed enormi) annotazioni umoristiche. Al tempo stesso, si diceva, lo limita: perché questa volontà compositiva, malgrado la commossa partecipazione che guida il film, finisce per straripare. Quasi a diventare il vero contenuto del film: allora i personaggi, le situazioni, gli schemi arrischiano di diventare (soltanto) tali. Se l'artificio non riesce a soffocare questo film bello ed originale è allora solo perché dietro ad esso c'è tutta l'emozione, la verità di un'esperienza autenticamente e crudelmente vissuta. Ed il sentimento, come dice un personaggio, che comunque vada, una tragedia non è destinata a durare in eterno.


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